Pubblichiamo una lettera di don José Rodrigo Lopez Capeda, che da qualche giorno gira su internet e che i social hanno attribuito a don Ruben, giovane sacerdote spagnolo morto il 21 gennaio scorso nell’esplosione che ha distrutto un palazzo sede degli uffici parrocchiali, della Caritas e centro di ospitalità della chiesa della Virgen de la Paloma y San Pedro el Real, nella diocesi di Madrid. Una tragedia che è costata la vita a quattro persone.
L’arcivescovo di Madrid, cardinale Osoro Sierra, accorso sul luogo della tragedia, ha detto: “Prego per le vittime e per la comunità cristiana in questo momento difficile”.
La lettera che pubblichiamo, come scritto, è stata attribuita per errore al sacerdote ucciso, e il suo narratore, su twitter ha precisato: “La storia è avvenuta 21 anni fa ed è stata pubblicata centinaia su molte piattaforme, non è più mia, è di tutti quelli che la fanno propria perché il grande protagonista è ′’Gesù’ in Gabriel e quel bacio che in tanti vorremmo ricevere”.
Nulla importando dell’attribuzione errata, resta la bellezza del miracolo (ché di questo si tratta) e l’intelligenza di chi ha voluto raccontarlo come dimostrazione della dinamica propria della grazia del Signore. La falsa attribuzione, da questo punto di vista, è benedetta, dato che ha fatto tornare di attualità qualcosa che si era perduto.
A 6 mesi dalla mia ordinazione il mio vescovo mi ha inviato come parroco in una Parrocchia nel Pireneo aragonese; dovevo supplire un Parroco che era lì da più di 30 anni, per cui ho incontrato la non accettazione degli abitanti del posto. Il compito fu difficile, ma fecondo, ma non avrebbe avuto tanta fecondità senza l’aiuto di un piccolo di nome Gabriel.
[Gabriel è ] il protagonista di questa storia, iniziata la seconda settimana dal mio arrivo in parrocchia, quando mi si è presentato una giovane coppia con un figlio piccolo speciale. Mi chiedevano di accettarlo come chierichetto. Ho pensato di rifiutarlo e non perché fosse un bambino particolare, ma per tutti i problemi con cui iniziava il mio ministero in quel posto. Ma non ho potuto dire di no, perché quando gli chiesto se voleva essere il mio chierichetto… non mi ha risposto, ma mi si è abbracciato alla vita… che modo di convincermi.
Gli ho dato appuntamento per la domenica successiva, 15 minuti prima della celebrazione eucaristica e si è presentato puntuale, con la sua vestina rossa e il rocchetto che la nonna gli aveva ricamato per l’occasione; devo aggiungere che la sua presenza mi ha portato più parrocchiani, perché i suoi familiari lo volevano vedere nel suo nuovo ruolo da chierichetto.
Dovevo preparare tutto il necessario per la messa e, non avendo né un sagrestano né un campanaro, correvo da una parte all’altra e non fu che poco prima di iniziare la messa che ho notato che Gabriel non sapeva nulla di come aiutare durante la celebrazione; avevo poco tempo a disposizione così mi è venuto in mente di dirgli: “Gabriel devi fare tutto quello che faccio, ok…?”.
Non sapevo che Gabriel è il bambino più obbediente del mondo, quindi iniziamo la celebrazione e, al momento di baciare l’altare, il piccolo ci è rimasto attaccato.
Nell’omelia ho visto che i parrocchiani sorridevano mentre parlavo, cosa che ha rallegrato il mio giovane cuore sacerdotale, ma poi mi sono reso conto che non guardavano me, ma Gabriele, che continuava a cercare di imitare quanto facevo.
Alla fine gli ho detto quel che doveva fare e quello che non doveva fare e, tra le altre cose, gli ho detto che l’altare potevo baciarlo solo io.
Gli ho spiegato come in quel bacio il sacerdote si unisce a Cristo. Lui mi guardava con i suoi grandi occhi interrogativi senza capire del tutto la spiegazione che gli davo…
Poi, aprendosi a ciò che stava pensando, dice: “Dai, voglio baciarlo anch’io…”
Gli ho spiegato di nuovo perché no e alla fine gli ho detto che lo avrei fatto solo io per entrambi. Sembrava soddisfatto. Ma la domenica successiva all’inizio della celebrazione e al bacio dell’altare, ho visto Gabriel poggiare la guancia sull’altare.
Non se ne allontanava più e un grande sorriso si era disegnato sul suo visetto. Ho dovuto dirgli di smettere e alla fine della messa gli ho ricordato: “Gabriel ti ho detto che l’avrei baciato per entrambi”.
Mi ha risposto: “Non l’ho baciato io, mi ha baciato lui…”. Io, serio, gli ho detto: “Gabriel non giocare con me…”. E mi ha risposto: “Davvero, mi ha riempito di baci”.
Il modo in cui me l’ha detto mi ha riempito di una santa invidia, così, chiudendo il tempio e salutando i miei parrocchiani, mi sono avvicinato all’altare e vi ho posato sopra la mia guancia chiedendo: “Signore baciami come hai fatto con Gabriel”.
Quel Bambino mi ha ricordato che l’opera non era mia e che a vincere il cuore di quella gente poteva essere solo la dolce intimità con l’unico Sacerdote, Cristo. Da allora il mio bacio all’altare è doppio, perché sempre, dopo averlo baciato, porgo la mia guancia per ricevere il suo bacio. Grazie Gabriel.