In questi giorni, nella Liturgia, la sera di Emmaus, quando due viandanti conversano tristi del “profeta potente” cui erano legati da grande affezione, ormai morto. E Gesù che s’avvicina e chiede, con ironica tenerezza, facendo finta di non sapere. E loro che spiegano, e Lui che spiega loro; poi la sera che s’appressa, Lui che va oltre e loro che lo pregano di rimanere, ché “ormai si fa sera”. E poi lo spezzare il pane con cui si fa riconoscere. E il cuore che si scaldava quando Lui era vicino… così che vanno a dirlo a tutti. “Davvero è risorto”, dove in quel davvero c’è tutta l’incredulità superata, superata perché Lui si era fatto vicino ancora una volta.
Ma sulla sera delle perdute speranze c’è una preghiera di Paolo VI, quando ancora era cardinale di Milano, composta per il Corpus Domini del 1961, forse insuperata nella sua poeticità.
Gesù, tu ti fai nostro.
Ci attiri verso di te presente, presente in forma misteriosa.
Tu sei presente, come il singolare pellegrino di Emmaus,
che raggiunge, avvicina, accompagna, ammaestra
e conforta gli sconsolati viandanti nella sera delle perdute speranze.
Tu sei presente nel silenzio e nella passività dei segni sacramentali,
quasi che tu voglia insieme velare e tutto svelare di te,
in modo che solo chi crede comprenda,
e solo chi ama possa veramente ricevere.