
Il presidente della Cei, cardinale Gualtiero Bassetti, in questi giorni sta condividendo l’esperienza di tanti ammalati di coronavirus. Ci hanno segnalato un messaggio inviato alla sua Diocesi, che volentieri ripubblichiamo, anche per il cenno finale…
Ai sacerdoti, ai diaconi, ai religiosi, alle consacrate, a tutti i fedeli di Cristo dell’Archidiocesi di Perugia-Città della Pieve
L’Eucarestia al centro della vita dei cristiani
O Dio, Tu sei il mio Dio! All’aurora ti cerco! Di Te ha sete l’anima mia, a te anela la mia carne come terra deserta, arida e senz’acqua (Sal 62).
Questa notte, in sogno, mi sono ritrovato nel tempo in cui, in Seminario, avevo come Padre spirituale don Divo Barsotti. Egli mi insegnava a rivolgermi all’Onnipotente con queste parole fin dal mattino: «O Dio, Tu sei il mio Dio, all’aurora ti cerco».
Da quando sono in isolamento per la positività al Covid-19, ho la possibilità di comunicarmi ogni giorno nella mia camera, avendo portato una piccola pisside vicino alla porta della stanza. Era necessaria questa esperienza di malattia per rendermi conto di quanto siano vere le parole dell’Apocalisse in cui Gesù dice all’angelo della Chiesa di Laodicèa: «Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me» (Ap 3, 20).
L’Eucarestia, soprattutto in questo periodo così difficile, non può essere lasciata ai margini delle nostre esistenze ma dev’essere rimessa, con ancora più forza, al centro della vita dei cristiani. L’Eucarestia non è soltanto il Sacramento in cui Cristo si riceve – l’anima è piena di grazia e a noi è dato il pegno della gloria futura – ma è l’anima del mondo ed è il fulcro in cui converge tutto l’universo. In definitiva, l’Eucarestia è pro mundi salute, ovvero per la salvezza del mondo, e pro mundi vita, per la vita del mondo (Gv 6, 51).
Nell’Eucarestia Gesù rinnova e riattualizza il suo sacrificio pasquale di morte e resurrezione, ma la Sua presenza non si limita a un piccolo pezzo di pane consacrato. Quel pane consacrato trascende dallo stesso altare, abbraccia tutto l’universo e stringe a sé tutti i problemi dell’umanità, perché il corpo di Gesù è strettamente unito al corpo mistico che è tutta la Chiesa. Non c’è situazione umana a cui non possa essere ricondotta l’Eucarestia.
Anche le vicende drammatiche che stiamo vivendo in questi giorni in Italia – come l’aumento della diffusione dell’epidemia, la grave crisi economica per molti lavoratori e per tante imprese, l’incertezza per i nostri giovani della scuola – non sono al di fuori della Santissima Eucarestia.
Mi ricordo che Padre Turoldo ci insegnava queste cose con grande chiarezza. E più vado avanti negli anni, più cerco di sperimentarle e più le sento vere. Non c’è consolazione, non c’è conforto, non c’è assenza di lacrime che non abbia il suo riferimento a Gesù Eucarestia.
Questo è un piccolo messaggio che voglio indirizzare ai miei preti, ai consacrati, ai giovani, alle famiglie e ai bambini dell’Archidiocesi. Vorrei che in questo periodo di così grave sofferenza non sentissimo la croce come un peso insopportabile ma come una croce gloriosa. Perché la Sua dolce presenza e la Sua carezza nell’Eucarestia fanno sì che le braccia della croce diventino due ali, come diceva don Tonino Bello, che ci portano a Gesù.
Ritengo infatti, come scriveva Paolo, «che le sofferenze del momento presente non sono paragonabili alla gloria futura che dovrà essere rivelata in noi». Con «impazienza» noi aspettiamo di contemplare il volto di Dio poiché «nella speranza noi siamo stati salvati» (Rom 8, 18.24). Pertanto, è assolutamente necessario sperare contro ogni speranza, «Spes contra spem». Perché, come ha scritto Charles Péguy, la Speranza è una bambina «irriducibile». Rispetto alla Fede che «è una sposa fedele» e alla Carità che «è una Madre», la Speranza sembra, in prima battuta, che non valga nulla. E invece è esattamente il contrario: sarà proprio la Speranza, scrive Péguy, «che è venuta al mondo il giorno di Natale» e che «portando le altre, traverserà i mondi».
Perugia, 30 ottobre 2020
Gualtiero Card. Bassetti
Ci permettiamo di allegare di seguito, la parte del brano di Péguy cui si riferisce il messaggio dal cardinale, che spiega, dopo aver accennato alla Fede e alla Carità (virtù grandi, ma che, scrive il poeta, meravigliano relativamente Dio perché fa tutto Lui, cenno bellissimo anch’esso), la Sua trepidazione per la Speranza che fiorisce e alligna nel cuore umano. Brano di certa attualità…
Ma la speranza, dice Dio, ecco quello che mi stupisce.
Me stesso.
Questo è stupefacente.
Che quei poveri figli vedano come vanno le cose e che credano
che andrà meglio domattina.
Che vedano come vanno le cose oggi e che credano che andrà
meglio domattina.
Questo è stupefacente ed è proprio la più grande meraviglia
della nostra grazia.
E io stesso ne sono stupito […]
Perché le mie tre virtù, dice Dio.
Le tre virtù mie creature.
Sono esse stesse come le mie altre creature.
Della razza degli uomini.
La Fede è una Sposa fedele.
La Carità è una Madre.
La Speranza è una bambina da nulla.
Che è venuta al mondo il giorno di Natale dell’anno scorso.
Che gioca ancora con babbo Gennaio.
Eppure è questa bambina che traverserà i mondi.
Questa bambina da nulla.
Lei sola, portando le altre, che traverserà i mondi compiuti […]
La piccola speranza avanza tra le sue due sorelle grandi
e non si nota neanche…
E non si fa attenzione, il popolo cristiano non fa attenzione
che alle due sorelle grandi.
La prima e l’ultima.
E non vede quasi quella che è in mezzo.
La piccola, quella che va ancora a scuola.
E che cammina.
Persa nelle gonne delle sue sorelle.
E crede volentieri che siano le due grandi che tirino la piccola per la mano.
In mezzo.
Tra loro due.
Per farle fare quella strada accidentata della salvezza.
Ciechi che sono che non vedono invece
Che è lei nel mezzo che si tira dietro le sue sorelle grandi.
E che senza di lei loro non sarebbero nulla […]
È lei, quella piccina, che trascina tutto.
Perché la Fede non vede che quello che è.
E lei vede quello che sarà.
La Carità non ama che quello che è.
E lei, lei ama quello che sarà.
Dio ci ha fatto speranza. Ha cominciato. Ha sperato che l’ultimo dei peccatori,
Che il più infimo dei peccatori lavorasse almeno un po’ alla sua salvezza,
Sia pure poco, poveramente,
Che se ne sarebbe occupato un po’.
Lui ha sperato in noi, sarà detto che noi non spereremo in lui?
Dio ha posto la sua speranza, la sua povera speranza in ognuno di noi, nel più infimo dei peccatori. Sarà detto che noi infimi, che noi peccatori, saremo noi che non porremo la nostra speranza in lui?
Dio ci ha affidato suo figlio, ahimé, ahimé. Dio ci ha affidato la nostra salvezza, la cura della nostra salvezza. Ha fatto dipendere da noi e suo Figlio e la nostra salvezza, e anche la sua speranza stessa; e noi non riporremo la nostra speranza in lui?
Mistero dei misteri, che riguarda i misteri stessi,
Egli ha messo nelle nostre mani, nelle nostre deboli mani,
la sua speranza eterna […]